venerdì 18 maggio 2012

L’IMPEGNO EDUCATIVO DELA FAMIGLIA



In questa riflessione partiamo da un interrogativo di fondo, la famiglia del XXI secolo come può rispondere alla sfida educativa della società contemporanea? Oggi, come non mai, la famiglia è chiamata a un impegno educativo di elevata qualità, significatività di senso e amorevole dedizione. Ormai è chiaro a tutti che ci troviamo immersi nella complessità di una società che stenta a indicare punti fermi, valori, orizzonti di senso e di speranza. Tutto si consuma nell’attimo effimero di una felicità narcisistica. Ha preso piede un’etica che si ispira ai paradigmi del “relativismo” e della “liquidità” (Benedetto XVI; Bauman). L’azione educativa della famiglia si concretizza nell’ambito delle relazioni fondamentali della quotidianità. È in questa dimensione che emerge con forza l’importanza della testimonianza. Dunque, la sfida riguarda, soprattutto, il come educare in una società in continuo cambiamento dove i paradigmi antropologici sono continuamente cangianti. Ci sembra importante evidenziare che il primo nodo da sciogliere è quello antropologico. L’ambito primo con il quale rapportarci è quello di un’antropologia culturale che ha cambiato i paradigmi di riferimento e, di conseguenza, anche una certa concezione dell’uomo e delle relazioni sociali.  Chi è l’uomo del XXI secolo? Se nel secolo scorso si parlava di “morte di Dio”, in questo inizio secolo si comincia a discutere di “morte dell’uomo”. Le due espressioni sono entrambe infelici e inopportune. In questa prima parte di  secolo si assiste, comunque, a un disorientamento della persona che sembra aver perso la propria identità. L’uomo del Novecento, annientando Dio dalla propria vita, pensava di poter diventare onnipotente grazie al progresso scientifico e tecnologico. L’uomo di oggi non considerandosi più “immagine di Dio” ha perso la sua identità, è frastornato, annichilito, sta rimanendo schiacciato dal suo egocentrismo e dalla sua fame di profitto. Egli non è capace di voltarsi indietro e guardare la scia di aridità che ha lasciato, non è capace di ritrovare quell’immagine di Dio che ha dentro e che lo renderebbe ancora desideroso di essere un seminatore di speranza, un essere capace di guardare il futuro con gli occhi di Dio, una persona con la passione di farsi una famiglia e di fare famiglia, capace di sentirsi parte della grande famiglia dell’umanità.  Il compito che spetta oggi alla famiglia è quello di generare uomini nuovi per un’umanità nuova. La famiglia supererà questa sfida se ritornerà a essere la cellula viva della società civile e la piccola Chiesa domestica, fondata a immagine della famiglia di Nazareth. Ma chi educherà la famiglia a essere piccola comunità civile ed ecclesiale? Chi educherà l’uomo a essere Uomo?  Il rischio è quello di entrare in un circolo vizioso che potrebbe generare lo scoraggiamento e, di conseguenza, l’inerzia dell’azione educativa. Invece, bisogna avere il coraggio di osare e uscire dalla nicchia del proprio perbenismo e della mediocrità generalizzata. Avere il coraggio di amplificare le parole del Beato Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite  le porte a Cristo!” Per uscire da una prassi pastorale e educativa di conservazione e attivare un’azione di nuova evangelizzazione e educazione centrata sull’amore, l’accoglienza, la solidarietà, la valorizzazione della Persona umana, attivando un processo sinergico che va oltre il proprio ruolo, ministero, condizione professionale e sociale. Tenendo presente  che la “Vigna” non ci appartiene, il nostro compito è solo quello di coltivarla e renderla bella nell’attesa che il Padrone venga a raccogliere i frutti buoni del suo Amore!

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