Definire
un’idea generale di “buona scuola” non è semplice. Allo stesso tempo, però, è
importante definire un’idea generale di “buona scuola”, per esplicitare la
direzione da perseguire nella pianificazione dell’offerta formativa che tenga
conto, sia dei contesti sociali di riferimento, sia dei bisogni educativi degli
alunni. Un’adeguata esplicitazione di cosa è una buona scuola contribuisce a
definire meglio i percorsi di apprendimento e i relativi processi di
valutazione delle scuole. Una “buona scuola”è una realtà educativa che riesce a
implementare una modalità di funzionamento originale che consente di
raggiungere determinati esiti. Gli esiti finali sono riferibili al successo
formativo degli alunni, che deve essere perseguito in riferimento allo sviluppo
armonico e integrale della persona. L’opinione pubblica si aspetta che,
attraverso i processi di apprendimento sviluppati a scuola, in sinergia con le
esperienze educative e formative nell’extra scuola, in famiglia e nella
comunità sociale, ogni alunno sia in grado di poter affrontare con
responsabilità e autonomia la vita quotidiana. Un punto fermo comune e
condiviso dalla comunità europea è rappresentato dalle “competenze chiave di
cittadinanza”. Dunque, una “buona scuola” ha l’obbligo di creare le condizioni
necessarie per consentire lo sviluppo di competenze di qualità che facciano
degli alunni uomini liberi, capaci di perseguire e promuovere il bene comune.
Oggi, la comunità europea è concorde nell’affidare alle scuole il compito di
promuovere lo sviluppo delle competenze. Questo è un compito prioritario per la
scuola, per i docenti che vi operano e per tutte le discipline, compresa l’IRC.
Pertanto, anche l’insegnamento della religione cattolica è chiamato a dare un
contributo per promuovere la “scuola buona” dell’apprendimento significativo
che, nello svolgersi del tempo, genera nell’alunno lo sviluppo delle
competenze. Possiamo affermare che l’IRC, per le sue peculiarità
epistemologiche, si inserisce a pieno titolo nella scuola come “avamposto
educativo”, perché si pone con responsabilità come risposta agli interrogativi
di senso degli studenti, fornendo un valido contributo educativo nell’incontro
dei giovani con le loro dimensioni esistenziali. L’IRC, nella scuola delle
competenze, costituisce un’unità di forze schierate nel mare della complessità,
per potenziare la dimensione educativa nella formazione delle giovani
generazioni. L’IRC è una disciplina che «concorre
alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza
in sapienza di vita» (Benedetto XVI). Il contributo che l’insegnamento
della religione cattolica deve fornire per la costruzione di una “buona scuola”
e quello di essere “Sale e Luce” nella complessità di una società disorientata
che ha imboccato la strada di un certo oscurantismo culturale. L’insegnamento
della religione cattolica deve concorre alla realizzazione di una scuola a
misura di uomo, una scuola delle competenze chiamata a formare cittadini e
uomini per il futuro del mondo.
BLOG PERSONALE DI GUGLIELMO BORGIA. Questo blog nasce come spazio dedicato alla condivisione di idee, progetti, esperienze sull'educazione e la formazione. Un'attenzione particolare è rivolta al rapporto tra educazione e nuovi media
giovedì 28 novembre 2013
venerdì 28 giugno 2013
IDENTIKIT DEL CRISTIANO
Il
cristiano è colui che nel battesimo ha ricevuto una nuova umanità centrata e
fondata sull’amore. Gesù nella sua vita terrena ha presentato un Dio che ama
l’uomo incondizionatamente. Egli ci rivela un Dio misericordioso che ha un’attenzione
amorosa verso i suoi figli, la parabola del “Padre misericordioso” è un esempio
significativo di questo suo amore per tutti gli uomini. Nell’evento pasquale
Gesù manifesta il senso dell’amore di Dio. La Pasqua di Resurrezione inaugura
la nuova umanità, fatta di uomini pieni di Spirito vivificante che in Cristo
Risorto hanno ricevuto la vita nuova. Questa nuova umanità nasce nel segno
dell’amore, infatti, Cristo alla vigilia della sua morte affida ai discepoli il
comandamento nuovo: «…che
vi amiate gli uni gli altri».
Questo tipo di amore cui è chiamato il cristiano non è secondo la logica umana,
ma scaturisce dalla sorgente del cuore del credente originata dalla forza dello
Spirito donato da Gesù a tutti i battezzati. L’agire morale del cristiano è
fondato sulla carità, egli si distingue dalla logica del mondo perché,
sull’esempio di Gesù, è colui che ama per primo e gratuitamente. San Paolo,
infatti, ci insegna che: per coloro che amano la legge è superflua, perché
nelle loro azioni quotidiane i cristiani sono guidati dalla legge dello Spirito
impressa nei loro cuori, legge di verità, di giustizia, di pace, di comunione e
di amore. I santi ci testimoniano che il cristiano deve essere pieno di amore
per essere il primo in umanità. «la misura dell’amore è di amare senza misura»
(S. Bernardo). I santi e tanti cristiani
hanno compreso che la via della salvezza, della felicità, della pace, della
giustizia, della civilizzazione dei popoli è quella del “Comandamento Nuovo”. L’amore
è il segreto della felicità, lo stesso amore che Dio ha riversato nel cuore dei
credenti, affinché ogni cristiano sia capace di amare come Lui. È difficile
amare come ama Dio, ma il credente non deve avere la presunzione di portare la
croce da solo, né di salvare il mondo; egli è solo uno strumento che deve
testimoniare l’amore di Cristo per l’umanità, la croce la porta Lui e il mondo
è Lui che lo salva. Per questo motivo il cristiano deve continuamente crescere,
convertirsi, impegnarsi, praticare le virtù, in altri termini, deve essere
trasparente come il cristallo per fare passare la luce di Cristo. Dobbiamo
essere umili strumenti nelle mani di Dio, affinché attraverso le nostre azioni
quotidiane risplenda nel mondo la luce vera di Cristo. “È lui la via, la
verità, la vita!” È Lui che deve crescere, che deve emergere, se saremo capaci
di farci strumento per Cristo, per la sua gloria, riceveremo già in questa vita
la ricompensa per quello che abbiamo dato. Quindi, anche gloria, rispetto,
onore, ma quello che agogniamo non è la gloria in questo mondo, ma la vita
eterna nel Regno di Dio, dove saremo beati fra i Beati, dove Cristo ci ha
preparato un posto di prestigio tutto per noi. Pertanto, le caratteristiche del
cristiano e lo stile di vita che deve avere sono sintetizzate nell’inno alla
Carità. Le parole di San Paolo sono una guida per chiunque voglia comprendere
il senso dell’amore di Cristo e il significato profondo dell’agire morale del
cristiano. Per un’autentica umanità la via da percorrere è quella del discorso
della montagna, le beatitudini rappresentano un cammino di liberazione dalla
menzogna, dall’egoismo, dalla violenza, dal potere e dalla morte. Gli uomini
possono fondare la propria felicità su aspetti mondani della vita, sul proprio
potere oppure sul comandamento dell’amore, quindi sul vangelo di Gesù Cristo.
Nel battesimo siamo stati chiamati a essere uomini nuovi per una rinnovata
umanità, dunque, nella logica evangelica siamo invitati a essere cittadini
degni del vangelo, capaci di lasciare trasparire in tutte le relazioni
quotidiane la luce vera di Cristo! In Lui siamo stati rigenerati, siamo
diventati uomini nuovi che sanno mettere mano all’aratro della vita per vangare
l’umanità ancora incolta e gettarvi il seme del vangelo di Cristo! Questa
missione non è solitaria, non riguarda i preti e qualche laico, ma l’intera
comunità ecclesiale. Il cristiano non può chiudersi nel solipsismo della sua
presunta fede e religiosità, ma è chiamato ad aprirsi al cammino della Chiesa. Una
Chiesa che è comunità ministeriale, infatti, tanti sono i ministeri e i carismi
all’interno della Chiesa, ma una sola è la missione; tante sono le membra che
la compongono, ma uno solo è il Capo, Cristo Signore! A Lui lode, onore e
gloria! Lui deve crescere e noi diminuire, perché “guardando a colui che hanno
trafitto” tutti gli uomini abbiano la salvezza.
giovedì 30 maggio 2013
Educare oggi alla corresponsabilità
Nella Bibbia il
termine che meglio si avvicina al concetto di responsabilità è quello di
“Custodia”.
Custodire vuol
dire stare accanto a qualcuno con rispetto e amore, accompagnarlo nel suo
cammino, coltivare la sua vita come bene assoluto, perché l’altro è un dono di
Dio per noi (Nella cultura tribale il
dono è pegno, simbolo di un legame, segno visibile della relazione tra due
persone o fra tribù). Se l’altro è
dono di Dio per me, vuol dire che questa persona a cui devo stare accanto è il
segno, il “pegno” dell’amicizia, della relazione tra me e Dio. Per questo
motivo uno è custode dell’altro, responsabile della sua vita di fronte a Dio.
Questa responsabilità non riguarda solo alcuni aspetti della vita dell’altro,
ma la sua intera esistenza. Essere immagine e somiglianza di Dio significa,
pure, essere custodi del creato, così come lo è Dio. L’atto del custodire è di
noi cristiani, ma anche di tutta l’umanità. All’origine non ci sono cristiani e
non cristiani, ma c’è l’uomo, maschio e femmina, quindi, è l’intera umanità che
è chiamata a custodire il creato. La custodia è la chiamata a una
responsabilità morale che investe ogni essere umano, in particolare i
cristiani. Questo atto è molteplice: “ siamo chiamati a custodire Cristo nella
nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato”. Seguendo gli insegnamenti di Papa Francesco,
concretamente, è importante custodire le persone, ogni persona, e averne cura
con amore. Avere cura l’uno dell’altro in famiglia, nella scuola, nella città,
nei luoghi di lavoro, in parrocchia, in ogni luogo dove ci sono persone. È
importante vivere con cura e sincerità tutte le relazioni, che sono un
reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. Non dobbiamo
mai guardare a quello che potrebbe dividerci, ma a ciò che ci unisce, quello
che ci fa essere figli, fratelli, amici in Cristo, per Cristo e con Cristo!
Siamo chiamati, allora, a riflettere, seriamente, sull’importanza di “custodire
e coltivare la vita”, per essere responsabili gli uni degli altri. «L’uomo è custode del creato, dell’altro e di
Dio, Egli, a sua volta, custodisce l’uomo in modo particolare nel suo Popolo,
la Chiesa dell’Amore.». “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio
unigenito”. Ai battezzati è chiesto soltanto di essere testimoni di questo
amore, adulti significativi, corresponsabili nell’opera di evangelizzazione.
Questa chiamata per i soci di Azione Cattolica rappresenta l’ordinarietà della realtà
associativa che si dipana nella quotidianità della vita, vissuta in tutte le
relazioni con impegno e servizio per il bene comune. L’Azione cattolica è
chiamata, in forza della sua singolare forma di ministerialità laicale, a farsi
custode del mondo, per “abitarlo da figli” responsabili sempre al servizio
dell’uomo, della Chiesa, dell’educazione, in comunione con tutti gli uomini e i
nostri pastori.
giovedì 18 aprile 2013
TESTE PIENE O TESTE BEN FATTE?
La società della
conoscenza, della globalizzazione, quella digitalizzata e del web 2.0 esige che
sia superata la ristretta concezione di alfabetizzazione che ha caratterizzato
il mondo della scuola e della formazione nel secolo scorso. Non basta più saper
leggere e far di conto, alle persone è chiesto di possedere nuove conoscenze,
abilità e competenze. Secondo la comunità internazionale, oggi, non si può più
parlare di dicotomia tra analfabeti e persone istruite. Infatti, si concepisce
il processo di acculturazione come un insieme di apprendimenti con diversi
livelli e modalità in riferimento ai differenti contesti. L’Unesco definisce
l’alfabetizzazione come: «l’abilità di
identificare, comprendere, interpretare, comunicare e calcolare, utilizzando
materiali scritti e stampati, associandoli a diversi contesti». Dunque,
bisogna collocare il progetto di alfabetizzazione all’interno di un programma
di “Educazione per tutti e per ciascuno”. Per questo motivo si parla di
educazione permanente e di apprendimento per tutta la vita. In altre parole,
l’educazione integrale di ogni persona per tutta la vita chiede che i bambini,
i ragazzi, i giovani e gli adulti possono esercitare il diritto a una
formazione capace di rispondere alle esigenze primarie di apprendimento. Il paradigma
pedagogico “dell’apprendimento per tutta la vita”, cerca di rispondere alle
esigenze dei singoli, ma anche delle famiglie, dei luoghi di lavoro, delle
comunità, delle società civili, degli stati. Quindi, investire sull’educazione
e nella formazione vuol dire investire sul nostro futuro e su quello delle
future generazioni. La scuola di domani non deve puntare sulla massificazione
dell’alfabetizzazione-Teste piene- ma sulla diversificazione e qualificazione
dei processi educativi e formativi-Teste ben fatte- non è la quantità delle
conoscenze che fa di un alunno una “Testa ben fatta”, ma la sua capacità di
mobilitare le conoscenze e le abilità che ha imparato. In altre parole,
puntando sulla qualità del processo d’insegnamento-apprendimento s’investe
sulla possibilità di formare persone competenti, motivati alla riuscita e
all’altezza del compito che chiede la società del XXI secolo agli uomini e alle
donne del terzo millennio. La sfida si gioca tutta sul terreno dell’istruzione,
della formazione e dell’educazione. Pertanto, formare Teste ben fatte, per gli
educatori, vuol dire raccogliere il “guanto” di sfida del minimalismo e
dell’oscurantismo culturale, della massificazione e della superficialità
formativa che il potere occulto di una società liberista ha lanciato agli
uomini veri di questo nuovo millennio. Sul piano pratico, la realizzazione di
azioni efficaci per rispondere, in maniera adeguata, al variegato universo dei
bisogni formativi rimanda, necessariamente, all’adozione di una politica di
alfabetizzazione sostenuta da un corpo di norme e risorse. Le politiche
comunitarie devono indicare, anche, le strategie fattibili per l’attuazione
normativa e la valorizzazione delle risorse umane, strumentali e strutturali.
In pratica, le politiche comunitarie per essere realistiche devono attenzionare
i seguenti aspetti: la formulazione di adeguati e validi curriculi, la
preparazione di operatori competenti, la promozione d’idonei ambienti di
apprendimento, la predisposizione di validi strumenti di rilevazione per la
verifica, il monitoraggio e la valutazione dei processi educativi e formativi. Infine,
la complessità dell’attuale società richiede che gli interventi di
alfabetizzazione primaria e secondaria, non siano lasciati in mano a persone
poco idonei. Agli operatori si chiede competenza e professionalità acquisibili
attraverso una qualificata e permanente formazione. Formare teste troppo piene,
oggi, significa avere a che fare con teste vuote di competenze; al contrario, formare
teste ben fatte vuol dire avere a che fare con persone in grado di mobilitare
le giuste conoscenze e abilità per affrontare la vita e la complessità di una
società sempre più in crisi di valori. Per formare “Teste ben fatte” bisogna
attivare un processo d’insegnamento-apprendimento significativo che attraverso
le conoscenze e le abilità conduce alla formazione di “uomini nuovi”. In sintesi, agli alunni non servono troppe
conoscenze, ma le mappe e gli strumenti per navigare nel mare della
complessità.
venerdì 12 aprile 2013
TESTE PIENE O TESTE BEN FATTE?
"La costruzione di una competenza è il risultato di un giusto equilibrio tra il lavoro isolato dei suoi diversi elementi e l'integrazione di questi elementi in situazione di operazionalizzazione." (Etienne et Lerouge).
Il successo scolastico non è fine a se stesso. Certamente, ogni apprendimento prepara ai successivi nel percorso scolastico. Ma in fin dei conti, in teoria, l'alunno dovrebbe essere capace di mobilitare le sue acquisizioni fuori dalla scuola, in situazioni diverse, complesse, imprevedibili. Oggi, questa preoccupazione si esprime in ciò che spesso si chiama la problematica del transfert delel conoscenze o della costruzione di competenze. Le due espressioni non sono intercambiabili, ma entrambe individuano un aspetto del problema:
- per essere utili i saperi scolastici devono essere trasferibili;
- ma il trasfer richiede qualcosa di più del possesso dei saperi: esso passa attraverso la loro integrazione con le competenze di riflessione, decisione e di azione in apporto alle situazioni complesse a cui l'individuo deve far fronte. (tratto dal testo costruire competenze a partire dalla scuola di Philippe Perrenoud). Per lo sviluppo delle competenze è necessario non solo acquisire conoscenze, ma queste devono essere codificate in schemi di mobilitazione che si possono sedimentare soltanto attraverso l'esercizio contino delle conoscenze e delle abilità. Alla comunità scolastica si chiede pure di saper valutare e certificare le competenze acquisite dagli alunni. Nei prossimi anni bisognerà attivare percorsi formativi qualificati che mettano i docenti nelle condizioni di operare e progettare tenendo presente i traguardi che gli alunni devono raggiungere per lo sviluppo delle competenze. Il dilemma torna imperante: teste piene o teste ben fatte?
lunedì 11 marzo 2013
Lentamente muore
Lentamente moriamo quando ci lasciamo trascinare
dal fiume della vita! A volte è difficile resistere
agli eventi della quotidianità, spesso resistiamo, cerchiamo di risalire la china, ma non è semplice. quando subentra la stanchezza non ti va di lottare e ti lasci
morire lentamente. perchè pensare oltre? secondo me per esercitare la
pazienza, così potremo raggiungere la felicità. c'è un'altra ragione, cominciare a gustare in questa vita alcuni attimi
di felicità!
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi
evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi
non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
Lentamente muore chi
non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi
distrugge l'amor proprio, chi non si lascia
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
della pioggia incessante.
Lentamente muore chi
abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a
piccole dosi, ricordando sempre che essere
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
di respirare.
vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
di respirare.
Soltanto l'ardente
pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicita'.
splendida felicita'.
Pablo Neruda
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