giovedì 28 novembre 2013

IL CONTRIBUTO DELL’IRC PER UNA “BUONA SCUOLA”



Definire un’idea generale di “buona scuola” non è semplice. Allo stesso tempo, però, è importante definire un’idea generale di “buona scuola”, per esplicitare la direzione da perseguire nella pianificazione dell’offerta formativa che tenga conto, sia dei contesti sociali di riferimento, sia dei bisogni educativi degli alunni. Un’adeguata esplicitazione di cosa è una buona scuola contribuisce a definire meglio i percorsi di apprendimento e i relativi processi di valutazione delle scuole. Una “buona scuola”è una realtà educativa che riesce a implementare una modalità di funzionamento originale che consente di raggiungere determinati esiti. Gli esiti finali sono riferibili al successo formativo degli alunni, che deve essere perseguito in riferimento allo sviluppo armonico e integrale della persona. L’opinione pubblica si aspetta che, attraverso i processi di apprendimento sviluppati a scuola, in sinergia con le esperienze educative e formative nell’extra scuola, in famiglia e nella comunità sociale, ogni alunno sia in grado di poter affrontare con responsabilità e autonomia la vita quotidiana. Un punto fermo comune e condiviso dalla comunità europea è rappresentato dalle “competenze chiave di cittadinanza”. Dunque, una “buona scuola” ha l’obbligo di creare le condizioni necessarie per consentire lo sviluppo di competenze di qualità che facciano degli alunni uomini liberi, capaci di perseguire e promuovere il bene comune. Oggi, la comunità europea è concorde nell’affidare alle scuole il compito di promuovere lo sviluppo delle competenze. Questo è un compito prioritario per la scuola, per i docenti che vi operano e per tutte le discipline, compresa l’IRC. Pertanto, anche l’insegnamento della religione cattolica è chiamato a dare un contributo per promuovere la “scuola buona” dell’apprendimento significativo che, nello svolgersi del tempo, genera nell’alunno lo sviluppo delle competenze. Possiamo affermare che l’IRC, per le sue peculiarità epistemologiche, si inserisce a pieno titolo nella scuola come “avamposto educativo”, perché si pone con responsabilità come risposta agli interrogativi di senso degli studenti, fornendo un valido contributo educativo nell’incontro dei giovani con le loro dimensioni esistenziali. L’IRC, nella scuola delle competenze, costituisce un’unità di forze schierate nel mare della complessità, per potenziare la dimensione educativa nella formazione delle giovani generazioni. L’IRC è una disciplina che «concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita» (Benedetto XVI). Il contributo che l’insegnamento della religione cattolica deve fornire per la costruzione di una “buona scuola” e quello di essere “Sale e Luce” nella complessità di una società disorientata che ha imboccato la strada di un certo oscurantismo culturale. L’insegnamento della religione cattolica deve concorre alla realizzazione di una scuola a misura di uomo, una scuola delle competenze chiamata a formare cittadini e uomini per il futuro del mondo.

venerdì 28 giugno 2013

IDENTIKIT DEL CRISTIANO




Il cristiano è colui che nel battesimo ha ricevuto una nuova umanità centrata e fondata sull’amore. Gesù nella sua vita terrena ha presentato un Dio che ama l’uomo incondizionatamente. Egli ci rivela un Dio misericordioso che ha un’attenzione amorosa verso i suoi figli, la parabola del “Padre misericordioso” è un esempio significativo di questo suo amore per tutti gli uomini. Nell’evento pasquale Gesù manifesta il senso dell’amore di Dio. La Pasqua di Resurrezione inaugura la nuova umanità, fatta di uomini pieni di Spirito vivificante che in Cristo Risorto hanno ricevuto la vita nuova. Questa nuova umanità nasce nel segno dell’amore, infatti, Cristo alla vigilia della sua morte affida ai discepoli il comandamento nuovo: «…che vi amiate gli uni gli altri». Questo tipo di amore cui è chiamato il cristiano non è secondo la logica umana, ma scaturisce dalla sorgente del cuore del credente originata dalla forza dello Spirito donato da Gesù a tutti i battezzati. L’agire morale del cristiano è fondato sulla carità, egli si distingue dalla logica del mondo perché, sull’esempio di Gesù, è colui che ama per primo e gratuitamente. San Paolo, infatti, ci insegna che: per coloro che amano la legge è superflua, perché nelle loro azioni quotidiane i cristiani sono guidati dalla legge dello Spirito impressa nei loro cuori, legge di verità, di giustizia, di pace, di comunione e di amore. I santi ci testimoniano che il cristiano deve essere pieno di amore per essere il primo in umanità. «la misura dell’amore è di amare senza misura» (S. Bernardo). I santi e tanti cristiani hanno compreso che la via della salvezza, della felicità, della pace, della giustizia, della civilizzazione dei popoli è quella del “Comandamento Nuovo”. L’amore è il segreto della felicità, lo stesso amore che Dio ha riversato nel cuore dei credenti, affinché ogni cristiano sia capace di amare come Lui. È difficile amare come ama Dio, ma il credente non deve avere la presunzione di portare la croce da solo, né di salvare il mondo; egli è solo uno strumento che deve testimoniare l’amore di Cristo per l’umanità, la croce la porta Lui e il mondo è Lui che lo salva. Per questo motivo il cristiano deve continuamente crescere, convertirsi, impegnarsi, praticare le virtù, in altri termini, deve essere trasparente come il cristallo per fare passare la luce di Cristo. Dobbiamo essere umili strumenti nelle mani di Dio, affinché attraverso le nostre azioni quotidiane risplenda nel mondo la luce vera di Cristo. “È lui la via, la verità, la vita!” È Lui che deve crescere, che deve emergere, se saremo capaci di farci strumento per Cristo, per la sua gloria, riceveremo già in questa vita la ricompensa per quello che abbiamo dato. Quindi, anche gloria, rispetto, onore, ma quello che agogniamo non è la gloria in questo mondo, ma la vita eterna nel Regno di Dio, dove saremo beati fra i Beati, dove Cristo ci ha preparato un posto di prestigio tutto per noi. Pertanto, le caratteristiche del cristiano e lo stile di vita che deve avere sono sintetizzate nell’inno alla Carità. Le parole di San Paolo sono una guida per chiunque voglia comprendere il senso dell’amore di Cristo e il significato profondo dell’agire morale del cristiano. Per un’autentica umanità la via da percorrere è quella del discorso della montagna, le beatitudini rappresentano un cammino di liberazione dalla menzogna, dall’egoismo, dalla violenza, dal potere e dalla morte. Gli uomini possono fondare la propria felicità su aspetti mondani della vita, sul proprio potere oppure sul comandamento dell’amore, quindi sul vangelo di Gesù Cristo. Nel battesimo siamo stati chiamati a essere uomini nuovi per una rinnovata umanità, dunque, nella logica evangelica siamo invitati a essere cittadini degni del vangelo, capaci di lasciare trasparire in tutte le relazioni quotidiane la luce vera di Cristo! In Lui siamo stati rigenerati, siamo diventati uomini nuovi che sanno mettere mano all’aratro della vita per vangare l’umanità ancora incolta e gettarvi il seme del vangelo di Cristo! Questa missione non è solitaria, non riguarda i preti e qualche laico, ma l’intera comunità ecclesiale. Il cristiano non può chiudersi nel solipsismo della sua presunta fede e religiosità, ma è chiamato ad aprirsi al cammino della Chiesa. Una Chiesa che è comunità ministeriale, infatti, tanti sono i ministeri e i carismi all’interno della Chiesa, ma una sola è la missione; tante sono le membra che la compongono, ma uno solo è il Capo, Cristo Signore! A Lui lode, onore e gloria! Lui deve crescere e noi diminuire, perché “guardando a colui che hanno trafitto” tutti gli uomini abbiano la salvezza.

giovedì 30 maggio 2013

Educare oggi alla corresponsabilità



 Nella Bibbia il termine che meglio si avvicina al concetto di responsabilità è quello di “Custodia”.
Custodire vuol dire stare accanto a qualcuno con rispetto e amore, accompagnarlo nel suo cammino, coltivare la sua vita come bene assoluto, perché l’altro è un dono di Dio per noi (Nella cultura tribale il dono è pegno, simbolo di un legame, segno visibile della relazione tra due persone o fra tribù).  Se l’altro è dono di Dio per me, vuol dire che questa persona a cui devo stare accanto è il segno, il “pegno” dell’amicizia, della relazione tra me e Dio. Per questo motivo uno è custode dell’altro, responsabile della sua vita di fronte a Dio. Questa responsabilità non riguarda solo alcuni aspetti della vita dell’altro, ma la sua intera esistenza. Essere immagine e somiglianza di Dio significa, pure, essere custodi del creato, così come lo è Dio. L’atto del custodire è di noi cristiani, ma anche di tutta l’umanità. All’origine non ci sono cristiani e non cristiani, ma c’è l’uomo, maschio e femmina, quindi, è l’intera umanità che è chiamata a custodire il creato. La custodia è la chiamata a una responsabilità morale che investe ogni essere umano, in particolare i cristiani. Questo atto è molteplice: “ siamo chiamati a custodire Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato”.  Seguendo gli insegnamenti di Papa Francesco, concretamente, è importante custodire le persone, ogni persona, e averne cura con amore. Avere cura l’uno dell’altro in famiglia, nella scuola, nella città, nei luoghi di lavoro, in parrocchia, in ogni luogo dove ci sono persone. È importante vivere con cura e sincerità tutte le relazioni, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. Non dobbiamo mai guardare a quello che potrebbe dividerci, ma a ciò che ci unisce, quello che ci fa essere figli, fratelli, amici in Cristo, per Cristo e con Cristo! Siamo chiamati, allora, a riflettere, seriamente, sull’importanza di “custodire e coltivare la vita”, per essere responsabili gli uni degli altri.  «L’uomo è custode del creato, dell’altro e di Dio, Egli, a sua volta, custodisce l’uomo in modo particolare nel suo Popolo, la Chiesa dell’Amore.». “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito”. Ai battezzati è chiesto soltanto di essere testimoni di questo amore, adulti significativi, corresponsabili nell’opera di evangelizzazione. Questa chiamata per i soci di Azione Cattolica rappresenta l’ordinarietà della realtà associativa che si dipana nella quotidianità della vita, vissuta in tutte le relazioni con impegno e servizio per il bene comune. L’Azione cattolica è chiamata, in forza della sua singolare forma di ministerialità laicale, a farsi custode del mondo, per “abitarlo da figli” responsabili sempre al servizio dell’uomo, della Chiesa, dell’educazione, in comunione con tutti gli uomini e i nostri pastori.

giovedì 18 aprile 2013

TESTE PIENE O TESTE BEN FATTE?




La società della conoscenza, della globalizzazione, quella digitalizzata e del web 2.0 esige che sia superata la ristretta concezione di alfabetizzazione che ha caratterizzato il mondo della scuola e della formazione nel secolo scorso. Non basta più saper leggere e far di conto, alle persone è chiesto di possedere nuove conoscenze, abilità e competenze. Secondo la comunità internazionale, oggi, non si può più parlare di dicotomia tra analfabeti e persone istruite. Infatti, si concepisce il processo di acculturazione come un insieme di apprendimenti con diversi livelli e modalità in riferimento ai differenti contesti. L’Unesco definisce l’alfabetizzazione come: «l’abilità di identificare, comprendere, interpretare, comunicare e calcolare, utilizzando materiali scritti e stampati, associandoli a diversi contesti». Dunque, bisogna collocare il progetto di alfabetizzazione all’interno di un programma di “Educazione per tutti e per ciascuno”. Per questo motivo si parla di educazione permanente e di apprendimento per tutta la vita. In altre parole, l’educazione integrale di ogni persona per tutta la vita chiede che i bambini, i ragazzi, i giovani e gli adulti possono esercitare il diritto a una formazione capace di rispondere alle esigenze primarie di apprendimento. Il paradigma pedagogico “dell’apprendimento per tutta la vita”, cerca di rispondere alle esigenze dei singoli, ma anche delle famiglie, dei luoghi di lavoro, delle comunità, delle società civili, degli stati. Quindi, investire sull’educazione e nella formazione vuol dire investire sul nostro futuro e su quello delle future generazioni. La scuola di domani non deve puntare sulla massificazione dell’alfabetizzazione-Teste piene- ma sulla diversificazione e qualificazione dei processi educativi e formativi-Teste ben fatte- non è la quantità delle conoscenze che fa di un alunno una “Testa ben fatta”, ma la sua capacità di mobilitare le conoscenze e le abilità che ha imparato. In altre parole, puntando sulla qualità del processo d’insegnamento-apprendimento s’investe sulla possibilità di formare persone competenti, motivati alla riuscita e all’altezza del compito che chiede la società del XXI secolo agli uomini e alle donne del terzo millennio. La sfida si gioca tutta sul terreno dell’istruzione, della formazione e dell’educazione. Pertanto, formare Teste ben fatte, per gli educatori, vuol dire raccogliere il “guanto” di sfida del minimalismo e dell’oscurantismo culturale, della massificazione e della superficialità formativa che il potere occulto di una società liberista ha lanciato agli uomini veri di questo nuovo millennio. Sul piano pratico, la realizzazione di azioni efficaci per rispondere, in maniera adeguata, al variegato universo dei bisogni formativi rimanda, necessariamente, all’adozione di una politica di alfabetizzazione sostenuta da un corpo di norme e risorse. Le politiche comunitarie devono indicare, anche, le strategie fattibili per l’attuazione normativa e la valorizzazione delle risorse umane, strumentali e strutturali. In pratica, le politiche comunitarie per essere realistiche devono attenzionare i seguenti aspetti: la formulazione di adeguati e validi curriculi, la preparazione di operatori competenti, la promozione d’idonei ambienti di apprendimento, la predisposizione di validi strumenti di rilevazione per la verifica, il monitoraggio e la valutazione dei processi educativi e formativi. Infine, la complessità dell’attuale società richiede che gli interventi di alfabetizzazione primaria e secondaria, non siano lasciati in mano a persone poco idonei. Agli operatori si chiede competenza e professionalità acquisibili attraverso una qualificata e permanente formazione. Formare teste troppo piene, oggi, significa avere a che fare con teste vuote di competenze; al contrario, formare teste ben fatte vuol dire avere a che fare con persone in grado di mobilitare le giuste conoscenze e abilità per affrontare la vita e la complessità di una società sempre più in crisi di valori. Per formare “Teste ben fatte” bisogna attivare un processo d’insegnamento-apprendimento significativo che attraverso le conoscenze e le abilità conduce alla formazione di “uomini nuovi”.  In sintesi, agli alunni non servono troppe conoscenze, ma le mappe e gli strumenti per navigare nel mare della complessità.

venerdì 12 aprile 2013

TESTE PIENE O TESTE BEN FATTE?

"La costruzione di una competenza è il risultato di un giusto equilibrio tra il lavoro isolato dei suoi diversi elementi e l'integrazione di questi elementi in situazione di operazionalizzazione." (Etienne et Lerouge).
Il successo scolastico non è fine a se stesso. Certamente, ogni apprendimento prepara ai successivi nel percorso scolastico. Ma in fin dei conti, in teoria, l'alunno dovrebbe essere capace di mobilitare le sue acquisizioni fuori dalla scuola, in situazioni diverse, complesse, imprevedibili. Oggi, questa preoccupazione si esprime in ciò che spesso si chiama la problematica del transfert delel conoscenze o della costruzione di competenze. Le due espressioni non sono intercambiabili, ma entrambe individuano un aspetto del problema: 
  • per essere utili i saperi scolastici devono essere trasferibili;
  • ma il trasfer richiede qualcosa di più del possesso dei saperi: esso passa attraverso la loro integrazione con le competenze di riflessione, decisione e di azione in apporto alle situazioni complesse a cui l'individuo deve far fronte. (tratto dal testo costruire competenze a partire dalla scuola di Philippe Perrenoud).                                                                              Per lo sviluppo delle competenze è necessario non solo acquisire conoscenze, ma queste devono essere codificate in schemi di mobilitazione che si possono sedimentare soltanto attraverso l'esercizio contino delle conoscenze e delle abilità. Alla comunità scolastica si chiede pure di saper valutare e certificare le competenze acquisite dagli alunni. Nei prossimi anni bisognerà attivare percorsi formativi qualificati che mettano i docenti nelle condizioni di operare e progettare tenendo presente i traguardi che gli alunni devono raggiungere per lo sviluppo delle competenze. Il dilemma torna imperante: teste piene o teste ben fatte?                                                          

lunedì 11 marzo 2013

Lentamente muore






Lentamente moriamo quando ci lasciamo trascinare dal fiume della vita! A volte è difficile resistere agli eventi della quotidianità, spesso resistiamo, cerchiamo di risalire la china, ma non è semplice. quando subentra la stanchezza non ti va di lottare e ti lasci morire lentamente. perchè pensare oltre? secondo me per esercitare la pazienza, così potremo raggiungere la felicità. c'è un'altra ragione, cominciare a gustare in questa vita alcuni attimi di felicità!



Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
  giorno gli stessi percorsi,
  chi non cambia la marcia,
  chi non rischia e cambia 
colore dei vestiti,
  chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
  chi preferisce il nero su bianco
  e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
  proprio quelle che fanno brillare gli 
occhi, quelle che
  fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
  davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
  chi e' infelice sul lavoro,
  chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
  chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
  consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
  chi non legge,
  chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia
  aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
  della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
  chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
  risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere
  vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
  di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
  splendida felicita'.
Pablo Neruda