lunedì 31 gennaio 2011

Dove è finita l'agognata "Scuola Serena"?


Oggi emerge, in maniera sempre più rilevante, che il sistema educativo italiano sta attraversando un periodo di crisi. Di fronte a tale situazione s’invoca una presa di posizione per arginare questa incresciosa problematica, però, spesso, prospettando soluzioni estreme. In tale situazione il paradosso è rappresentato dai pregiudizi e dalle soluzioni indicate da coloro che non si occupano né di scuola, né di educazione. Questi si presentano, sovente, come maestri dell’educazione e competenti nella gestione della scuola, prospettando soluzioni rigide, repressive e selettive. Nella maggior parte dei casi si tratta di giudizi e soluzioni che appartengono a un immaginario collettivo di scuola e di sapienza educativa da era “Megalitica”, quando il sistema scolastico italiano era caratterizzato da un carattere eccessivamente rigido, repressivo e selettivo. Un sistema educativo che tutti i pedagogisti e i più illuminati politici hanno voluto cambiare, prospettando e attivando processi di riforma del sistema scolastico italiano, a partire dall’istituzione della scuola media unica. Nel processo legislativo di riforma del sistema scolastico si prospettava una scuola per tutti, ma, soprattutto, s’invocava una “scuola serena”, dove ogni persona poteva essere educato, formato, istruito e, quindi, orientato per la piena realizzazione di sé. La scuola italiana, a partire dalla riforma della scuola media del 1962, si presentava alla classe dirigente come la possibilità per mantenere il proprio status, invece, alle classi meno abbienti come l’opportunità per potersi elevare socialmente. Dunque, tutta la società italiana era interessata a non essere esclusa dal sistema scolastico, in quanto, l’eventuale esclusione, per le classi più agiate avrebbe significato perdere lo status dirigenziale e per i meno abbienti l’opportunità di raggiungere tale status. In altri termini, la desiderabilità dell’inclusione nel sistema educativo della scuola è stata la condizione unica per trarre benefici dall’istruzione, fino a quando, però, c’è stata una moderazione nell’accesso alla scuola. Pertanto, la sola minaccia dell’esclusione dal sistema scolastico era un deterrente per un comportamento confacente alle norme, sia per quanto riguardava il conseguimento dei risultati negli apprendimenti, sia per ciò che atteneva alla disciplina. Un voto negativo nel comportamento aveva delle ripercussioni negative sulla permanenza all’interno del sistema scolastico e costituiva una sanzione grave. Con un sette in condotta si poteva pregiudicare il regolare avanzamento negli studi. In altri termini, il voto negativo rappresentava una minaccia non in sé, ma perché poteva generare effetti negativi sul piano sociale. Questo sistema selettivo, sanzionatorio e repressivo si voleva abolire, si desiderava fare della scuola un ambiente motivante, orientante, capace di fare sviluppare negli studenti le competenze necessarie per l’inserimento nella società che si stava avvicinando al ventunesimo secolo. Quel tipo di scuola fece proprie, nei dettami legislativi, le migliori teorie pedagogiche, per far sì che si creasse una”scuola serena” a misura di studente, capace di formare “uomini e cittadini”. Di fronte al presunto fallimento di questo modello, ammesso che sia mai stato realizzato nella scuola, s’invoca un ritorno al passato! Si prospettano soluzioni rigide e repressive, nell’intenzione di ristabilire l’ordine “primordiale”. Ci chiediamo se può bastare la minaccia di bocciatura o il voto negativo in condotta per migliorare l’attuale sistema scolastico. Le ricerche in ambito psicologico ci hanno dimostrato che soggetti ai quali sono stati applicati metodi repressivi per farli desistere da un comportamento deviato, hanno, invece, reiterato e aumentato i comportamenti scorretti. Skinner, in questo caso, parla di rinforzi negativi nel comportamento. In altri termini, si è costatato che con tali metodi si genera, spesso, un circolo vizioso che può portare a degli effetti più nefasti. Con ciò non voglio dire che ci si deve appiattire in un semplicistico libertinaggio disciplinare e sull’anarchia generalizzata, ma sono fermamente convinto che la scuola debba attivare un processo educativo motivante. Quello che si constata oggi è una forte delusione nei confronti del sistema scolastico che, spesso, genera demotivazione e frustrazione negli studenti e in quanti operano nella scuola. La minaccia repressiva della bocciatura o del voto in condotta non riesce più a essere un valido deterrente motivazionale, in quanto, quella desiderabilità dell’educazione scolastica dalla quale dipendeva l’efficacia sanzionatoria del voto in condotta è andata in crisi. Tale crisi si è generata non solo dal superamento sociale di questo modello, ma anche dalla sostituzione, più o meno rilevante, di un sistema di valori di riferimento, un tempo erano accreditati nella scuola. Oggi i valori di riferimento non tendono più all’ascesa sociale finalizzata al raggiungimento di uno status che migliori il proprio tenore di vita, ma il riferimento valoriale cui si tende è quello del consumo dei beni e dell’avidità di denaro, giustificando qualsiasi mezzo per il raggiungimento di tale fine. Un altro aspetto demotivante per gli studenti è rappresentato dal disagio generalizzato, di fronte a tanta sofferenza interiore non c’è voto in condotta o bocciatura che possa scoraggiare da comportamenti scorretti. La minaccia del voto negativo in condotta con la conseguente bocciatura, invece di motivare stanno facendo registrare un incoraggiamento all’abbandono della scuola. Di conseguenza, alla dimensione socializzante del sistema scolastico, spesso, si sostituisce una socializzazione degli emarginati fuori dalla scuola. Dunque, sembra che nel sistema scolastico italiano si stia generando una specie di circolo vizioso. Il modello repressivo-sanzionatorio dovrebbe riportare all’ordine “megalitico”, ma, invece, assistiamo a un aumento delle trasgressioni che si voleva arginare, non solo, i risultati negli apprendimenti, tendono ad attestarsi su un livello medio-basso. Di fronte a tutto ciò quale può essere la soluzione? Quale modello di scuola prospettare? Penso che nessuno abbia una ricetta pronta, soprattutto i pedagogisti e tutti quelli che si occupano seriamente di scuola. Il pedagogista, poi, non è colui che deve scrivere ricette da applicare, ma, piuttosto, egli ha il compito di mettere in luce gli elementi di criticità dei sistemi e prospettare possibili soluzioni, con la consapevolezza che tali possibili prospettive non hanno e non potranno mai avere il carattere di infallibilità. A questo punto, mi pare importante affermare che la prima verità da tenere presente è l’impotenza degli addetti di fronte al mutamento della società. Oggi ci troviamo immersi in un contesto sociale in continuo mutamento, con ritmi evolutivi esageratamente accelerati, dove è difficile capire, prima di tutto, i fenomeni, immaginiamo come possa essere ancora più complicato prospettare un modello scolastico capace di arginare gli effetti patologici di tali fenomeni. Penso che la prima cosa da fare sia quella di ripartire dall’educazione e dai suoi valori di riferimento. Poi, ritengo importante, che si debba ripensare alla scuola come realtà dove s’intessono relazioni e come luogo privilegiato per l’educazione, la formazione e l’istruzione. Sono convinto che soltanto una relazione autentica tra tutti gli attori della scuola possa spezzare quel circolo vizioso che si sta generato nel sistema scolastico italiano. A qualcuno potrà apparire come un’utopia, ma, per la scuola del ventunesimo secolo, mi piace pensare a un modello di “scuola serena”, dove a fondamento del processo didattico sia messa l’etica dei valori della dignità della persona umana, affinché ogni attore del sistema scolastico possa sentirsi accolto e valorizzato per quello che è. Una scuola dove ogni cosa e atteggiamento sia teso alla valorizzazione della dignità della persona umana e abbia come sistema di riferimento non il voto fine a se stesso, ma il processo dove conta di più cosa, dove e come apprendono gli alunni. Penso che oggi per le scuole ci siano maggiori opportunità, rispetto al 1962, per realizzare una “scuola serena”, la prima è rappresentata dalla legge sull’Autonomia. Sono poche le scuole che stanno prendendo sul serio le opportunità che offre loro questa legge, per far sì che si costruisca una scuola a misura di persona! Nella scuola del ventunesimo secolo si deve abbandonare la logica sanzionatoria e adottare, invece, quella della promozione e valorizzazione della persona umana, per di attivare un processo didattico motivante che conduca gli studenti allo sviluppo di competenze, secondo una direttrice esponenziale che proceda dal “sapere, al saper fare, per ESSERE”. Ma per realizzare tutto questo il presupposto deve essere quello del paradigma di una “SCUOLA SERENA”.