martedì 31 gennaio 2012

EDUCARE ALLA CONVIVENZA CIVILE


Nel comportamento di molti della nuova generazione, spesso, si nota una regressione etica, educativa, civile. Sembra, quasi, che non abbiano ricevuto nemmeno i rudimenti della convivenza civile. È come se anni di civiltà della nostra società, invece di sedimentarsi si siano alienati. L’uomo contemporaneo, spesso, ci appare come un primitivo tecnologizzato. Questo fa paura! L’uomo tecnologizzato che assume comportamenti primitivi, dove vigeva la legge del più forte e del branco, potrebbe condurre a una società senza etica, forse ci siamo già! Osservando il comportamento dei ragazzi, sembra di vedere un branco di mammiferi che lottano per affermare la propria predominanza. Tutto ciò è inquietante perché la lotta non è di pensiero ma fisica. L’uomo che perde il controllo istintuale rischia di trasformarsi in una bestia! Se è vero quello che dice Don Milani: “Che la scuola è l’unica differenza tra gli uomini e gli animali…”, allora questa differenza pare che oggi tenda a scomparire o quantomeno si sta snaturando. Se come scuola non si riesce più a educare alla convivenza civile, se come famiglia non riusciamo più a indicare direzioni di senso, se come società non siamo più in grado di fare la differenza con le comunità tribali, cosa rimane da fare? Lottare con il pensiero contro l’oscurantismo culturale, continuare a gettare il seme dell’educazione, sperare, non arrendersi neanche davanti all’evidenza di una così rilevante involuzione etica! La scuola non può abdicare al suo ruolo educativo, deve continuare a essere la “differenza tra noi e gli animali” (don Milani); la famiglia per la sua peculiarità non può regredire allo stato tribale, ma ha il compito di tracciare direzioni di senso per una società eticamente più evoluta e civile.

EMOZIONI


Le emozioni sono come il polline, il vento li porta dove vuole...l'importante è che il fiore li lasci andare, poi la vita e il tempo faranno il resto

regalati un sorriso


Quando pensi che tutto va storto...allora è il tempo del riposo per regalarsi un sorriso

mercoledì 25 gennaio 2012

L’ATTIVITA’ TERAPEUTICA DELLA CHIESA


Il tema della cura per il malato è un tema sempre attuale e in un ambito in cui emerge l’importanza dell’essenza ontologica dell’uomo, questo aspetto mette in risalto la sensibilità della comunità cristiana verso chi soffre. Il lavoro di ricerca del prof. Costantino Lauria[1] L’attività terapeutica della Chiesa è frutto di un’attenta analisi e di approfondimento dell’Istruzione Ardens felicitatis della Congregazione per la dottrina della fede. Attraverso tre capitoli, senza pretesa di esaustività, il prof. Lauria ripercorre, a partire dai dati del Nuovo Testamento e inseguendo la tradizione e il magistero, la storia della valorizzazione del malato dal punto di vista della fede dopo l’evento Cristo. A partire da Cristo che guariva tutti coloro che toccava o con fede lo toccavano e attraverso i discepoli, che da lui avevano ricevuto il mandato, la Chiesa ha proseguito l’incarico di alleviare le sofferenze del malato attraverso l’unzione e la preghiera, fino alla dimensione sacramentale che via via ha assunto questo rito di ungere il malato con l’olio (di ulivo). Dal concilio di Trento al Vaticano II questo rito veniva concesso solo ai morenti assumendo il nome di “estrema unzione”, dimenticando l’importanza del sacramento nel dare al malato la forza di poter sconfiggere la malattia. Solo dopo il rinnovamento del Vaticano II riemerge la sua importanza terapeutica, unita alla preghiera della comunità cristiana. È proprio quest’ultimo aspetto a porre le basi al lavoro del prof. Lauria, cioè l’efficacia che abbiano la fede e la solidarietà dei credenti sul malato.

Al di là delle pretese taumaturgiche, il miracolo di questa solidarietà, spinta dalla fede di una comunità riunita sotto il segno di Cristo sofferente, morto e glorioso, consiste nel ridare al malato il sostegno “socio- emotivo” di cui ha bisogno, per non sentirsi solo con la propria sofferenza e trovare la grazia necessaria per accettarla e superarla.

Alla luce dell’esperienza personale si può comprendere quanto sia importante per chi soffre, che si tratti di sofferenza fisica o interiore, sentire accanto a sé una presenza orante; una presenza fatta di silenzio riempiente, di un silenzio che esprima amore, tenerezza, sostegno e umanità. E in una società dove la solidarietà lascia il posto alla solidarietà dell’individuo, questa dimensione costituisce veramente una cura indispensabile per chi è nel bisogno.

Silvia Inglese


[1] Il prof. Costantino Lauria è specializzato in morale, bioetica e sessuologia e dottore in teologia biblica; attualmente insegna presso la D.D. Principe di Piemonte e l’ISSUR Ignatianum di Messina e presso L’ISSR Mario Sturzo di Piazza Armerina. È membro fondatore della società italiana di Bioetica e sessuologia (SIBeS); membro dell’associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM); membro dell’associazione teologica italiana.

venerdì 13 gennaio 2012

EDUCARE PER TUTTA LA VITA


Diversi giovani dichiarano di avere poca fiducia nel futuro e pensano che la scuola non possa aiutare a inserirsi nel mondo del lavoro. Si sentono demotivati e scoraggiati, sono diventati scettici e diffidenti nei confronti del mondo adulto. Una buona percentuale pensa che gli insegnamenti impartiti a scuola a qualcosa servano, anche se, però, si mostrano scettici nei confronti del futuro. Molti sono i giovani che non si sentono apprezzati dai docenti, per cui l'atteggiamento è di poca fiducia verso gli insenanti, ma anche verso la scuola e anche nei confronti del mondo adulto in generale. I giovani studenti italiani fanno trasparire un generale malessere. Quali sono le cause che originano questa forte demotivazione, non solo allo studio, ma anche alla riuscita. Andando più a fondo nell'analisi, si evidenziano altre situazioni: diversi studenti provano ansia quando si recano a scuola, molti hanno difficoltà nell'organizzazione del lavoro scolastico, un'alta percentuale ha difficoltà lessicali, scarse abilità e conoscenze di base. Infine, si rileva che molti presentano problemi relazionali e scarse capacità nella gestione delle emozioni. Tutte queste cose rappresentano degli ostacoli nella relazione tra docenti e studenti che inficiano il processo d’insegnamento-apprendimento. In questa situazione è come se si procedesse su piani paralleli, di conseguenza ne è compromessa la comunicazione. Infatti, gli studenti affermano di non capire e di non essere compresi dai docenti, ma anche gli insegnanti dicono la stessa cosa, proprio perché questi due universi, pur convivendo nello stesso ambiente, in realtà non entrano in relazione. Di fronte a questa realtà, come agire a livello didattico? Quale prospettiva? Appare evidente che bisogna cominciare a rimuovere alcuni ostacoli. Spesso, però, risulta difficile sapere da dove incominciare. Gli ostacoli che si frappongono tra i docenti e gli alunni non sono oggetti materiali, sono, invece, come alberi che hanno radici profonde. Sono costrutti concettuali che si sono sedimentati nella mente degli studenti fin dalla nascita. Non basta dire delle cose, così come non basta un singolo intervento educativo o l'utilizzo di una sola strategia didattica per rimuovere i pregiudizi. Questi ostacoli, essendo come alberi, non basta reciderli, necessita uno sradicamento, facendo attenzione a non fare male al "terreno". Tutto ciò non è semplice, c'è bisogno della pazienza del contadino o di quella della partoriente! "Quanto tempo ci vuole per fare il pane? La risposta è semplice, alcune ore. Quanto tempo ci vuole, invece, per fare il vino? Anche in questo caso non è difficile rispondere, circa un mese. Per fare un figlio? Lo sappiamo tutti, nove mesi. Se riflettiamo bene anche per fare il vino ci vogliono nove mesi e anche per fare il pane ci vogliono nove mesi. Per fare il pane, per fare il vino e per fare un figlio ci vuole tempo, sacrificio, Amore! Il processo educativo è lento e faticoso, richiede tempo, pazienza e donazione. Le cose si complicano ancora di più se ci troviamo di fronte a studenti demotivati, sfiduciati e, spesso, con la morte dentro. Dinanzi a queste persone, quale deve essere il nostro modo di approcciarci a loro? Gli insegnanti non sono professionisti specializzati nella relazione, non sono psicologi o pedagogisti, sono docenti e basta, con la passione per il sapere e il desiderio di trasmettere alle nuove generazione i "segreti" della disciplina che insegnano. Nel rapporto con gli studenti possono essere efficaci sul piano motivazionale agendo secondo il loro ruolo e in base all'epistemologia della disciplina che insegnano? Lo scetticismo imperante invita ad abbandonare una partita che sembra persa in partenza e lasciare che le cose continuano ad andare come sempre. Molti si chiedono a chi potrebbe servire la rimozione degli ostacoli che si frappongono nella relazione tra alunni e docenti. Serve solo agli studenti oppure anche agli insegnanti? Diversi esperti sostengono che nella maggior parte dei casi è utile agli insegnanti fare in modo che se instauri una relazione positiva. L'interrogativo è chiaro: in che senso e perché? Per non morire di rabbia e svolgere meglio il loro lavoro! I docenti dovrebbero interessarsi degli studenti prima di tutto per senso etico e poi perché, prima che insegnanti, sono educatori. "per fare il pane ci vogliono nove mesi, per fare il vino ci vogliono nove mesi e anche per fare un figlio ci vogliono nove mesi". (I. Silone, Il Pane e il Vino) Per educare ci vuole tutta la vita!

domenica 8 gennaio 2012

UN VESCOVO EDUCATORE E FILOSOFO


Il rinnovamento ecclesiale, morale, sociale e pedagogico che Mario Sturzo auspicava necessitava di una chiarezza di idee e di una solida preparazione teoretica. A cominciare dal 1915 collaborò alla “Rivista di filosofia neoscolastica” e dal 1927 al 1930 alla “Rivista di autoformazione” da lui fondata, dove affronta diversi problemi come quelli: gnoseologico, scientifico, pedagogico, estetico. Mario Sturzo concepiva la filosofia come disciplina che conduce alla fede, orientata alla vita concreta.

Dopo il richiamo della S. Sede (1931), mons. Mario imposta diversamente la sua attività di fine pensatore e di attento studioso. Cominciò ad occuparsi di mistica, di preghiera, di vita spirituale e dei problemi annessi. L’abbandono della filosofia lo portò ad interessarsi di poesia. con questo articolo vi propongo un contributo del prof. L. Patelmo sull'opera di Mons. Mario Sturzo (Clicca qui)