La società della
conoscenza, della globalizzazione, quella digitalizzata e del web 2.0 esige che
sia superata la ristretta concezione di alfabetizzazione che ha caratterizzato
il mondo della scuola e della formazione nel secolo scorso. Non basta più saper
leggere e far di conto, alle persone è chiesto di possedere nuove conoscenze,
abilità e competenze. Secondo la comunità internazionale, oggi, non si può più
parlare di dicotomia tra analfabeti e persone istruite. Infatti, si concepisce
il processo di acculturazione come un insieme di apprendimenti con diversi
livelli e modalità in riferimento ai differenti contesti. L’Unesco definisce
l’alfabetizzazione come: «l’abilità di
identificare, comprendere, interpretare, comunicare e calcolare, utilizzando
materiali scritti e stampati, associandoli a diversi contesti». Dunque,
bisogna collocare il progetto di alfabetizzazione all’interno di un programma
di “Educazione per tutti e per ciascuno”. Per questo motivo si parla di
educazione permanente e di apprendimento per tutta la vita. In altre parole,
l’educazione integrale di ogni persona per tutta la vita chiede che i bambini,
i ragazzi, i giovani e gli adulti possono esercitare il diritto a una
formazione capace di rispondere alle esigenze primarie di apprendimento. Il paradigma
pedagogico “dell’apprendimento per tutta la vita”, cerca di rispondere alle
esigenze dei singoli, ma anche delle famiglie, dei luoghi di lavoro, delle
comunità, delle società civili, degli stati. Quindi, investire sull’educazione
e nella formazione vuol dire investire sul nostro futuro e su quello delle
future generazioni. La scuola di domani non deve puntare sulla massificazione
dell’alfabetizzazione-Teste piene- ma sulla diversificazione e qualificazione
dei processi educativi e formativi-Teste ben fatte- non è la quantità delle
conoscenze che fa di un alunno una “Testa ben fatta”, ma la sua capacità di
mobilitare le conoscenze e le abilità che ha imparato. In altre parole,
puntando sulla qualità del processo d’insegnamento-apprendimento s’investe
sulla possibilità di formare persone competenti, motivati alla riuscita e
all’altezza del compito che chiede la società del XXI secolo agli uomini e alle
donne del terzo millennio. La sfida si gioca tutta sul terreno dell’istruzione,
della formazione e dell’educazione. Pertanto, formare Teste ben fatte, per gli
educatori, vuol dire raccogliere il “guanto” di sfida del minimalismo e
dell’oscurantismo culturale, della massificazione e della superficialità
formativa che il potere occulto di una società liberista ha lanciato agli
uomini veri di questo nuovo millennio. Sul piano pratico, la realizzazione di
azioni efficaci per rispondere, in maniera adeguata, al variegato universo dei
bisogni formativi rimanda, necessariamente, all’adozione di una politica di
alfabetizzazione sostenuta da un corpo di norme e risorse. Le politiche
comunitarie devono indicare, anche, le strategie fattibili per l’attuazione
normativa e la valorizzazione delle risorse umane, strumentali e strutturali.
In pratica, le politiche comunitarie per essere realistiche devono attenzionare
i seguenti aspetti: la formulazione di adeguati e validi curriculi, la
preparazione di operatori competenti, la promozione d’idonei ambienti di
apprendimento, la predisposizione di validi strumenti di rilevazione per la
verifica, il monitoraggio e la valutazione dei processi educativi e formativi. Infine,
la complessità dell’attuale società richiede che gli interventi di
alfabetizzazione primaria e secondaria, non siano lasciati in mano a persone
poco idonei. Agli operatori si chiede competenza e professionalità acquisibili
attraverso una qualificata e permanente formazione. Formare teste troppo piene,
oggi, significa avere a che fare con teste vuote di competenze; al contrario, formare
teste ben fatte vuol dire avere a che fare con persone in grado di mobilitare
le giuste conoscenze e abilità per affrontare la vita e la complessità di una
società sempre più in crisi di valori. Per formare “Teste ben fatte” bisogna
attivare un processo d’insegnamento-apprendimento significativo che attraverso
le conoscenze e le abilità conduce alla formazione di “uomini nuovi”. In sintesi, agli alunni non servono troppe
conoscenze, ma le mappe e gli strumenti per navigare nel mare della
complessità.
BLOG PERSONALE DI GUGLIELMO BORGIA. Questo blog nasce come spazio dedicato alla condivisione di idee, progetti, esperienze sull'educazione e la formazione. Un'attenzione particolare è rivolta al rapporto tra educazione e nuovi media
giovedì 18 aprile 2013
venerdì 12 aprile 2013
TESTE PIENE O TESTE BEN FATTE?
"La costruzione di una competenza è il risultato di un giusto equilibrio tra il lavoro isolato dei suoi diversi elementi e l'integrazione di questi elementi in situazione di operazionalizzazione." (Etienne et Lerouge).
Il successo scolastico non è fine a se stesso. Certamente, ogni apprendimento prepara ai successivi nel percorso scolastico. Ma in fin dei conti, in teoria, l'alunno dovrebbe essere capace di mobilitare le sue acquisizioni fuori dalla scuola, in situazioni diverse, complesse, imprevedibili. Oggi, questa preoccupazione si esprime in ciò che spesso si chiama la problematica del transfert delel conoscenze o della costruzione di competenze. Le due espressioni non sono intercambiabili, ma entrambe individuano un aspetto del problema:
- per essere utili i saperi scolastici devono essere trasferibili;
- ma il trasfer richiede qualcosa di più del possesso dei saperi: esso passa attraverso la loro integrazione con le competenze di riflessione, decisione e di azione in apporto alle situazioni complesse a cui l'individuo deve far fronte. (tratto dal testo costruire competenze a partire dalla scuola di Philippe Perrenoud). Per lo sviluppo delle competenze è necessario non solo acquisire conoscenze, ma queste devono essere codificate in schemi di mobilitazione che si possono sedimentare soltanto attraverso l'esercizio contino delle conoscenze e delle abilità. Alla comunità scolastica si chiede pure di saper valutare e certificare le competenze acquisite dagli alunni. Nei prossimi anni bisognerà attivare percorsi formativi qualificati che mettano i docenti nelle condizioni di operare e progettare tenendo presente i traguardi che gli alunni devono raggiungere per lo sviluppo delle competenze. Il dilemma torna imperante: teste piene o teste ben fatte?
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